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progettazione

Page history last edited by Pier 15 years, 3 months ago

Sui modelli dell'instructional design

http://www.ericdigests.org/1998-1/survey.htm

http://deekayen.net/comparison-alternative-instructional-design-models

http://www.nwlink.com/~donclark/history_isd/roots.html

http://www.personal.psu.edu/users/m/r/mrs331/idm.htm

Instructional design - ID

[L’instructional Design è un metodo sistematico che concerne] come pianificare, sviluppare, valutare e gestire il processo istruttivo così che possa garantire l’acquisizione da parte degli studenti di una performance adeguata (Kemp et a., 1998, p. 2)

[L’Instructional Design è] la scienza e l’arte di creare dettagliate specificazioni per lo sviluppo, la valutazione e la messa a punto di situazione che facilitino l’apprendimento di sia ampie sia di piccole unità di contenuti. (Seels e Glasgow, 1998, p. 7)

Modelli di progettazione

Lo schema classico da cui provengono la maggioranza dei modelli dell’ID è ADDIE. Può essere considerato un meta-modello e la maggioranza dei modelli successivi può essere visto come una elaborazione o una specializzazione di ADDIE.

 

Figura 2 - ADDIE

Esso presenta un percorso lineare che indica le fasi della progettazione ed è divenuto quasi sinonimo di Instructional Design o Instructional System Design.

ADDIE è l’acronimo e ogni lettera indica una fase della progettazione.

  • Analyze – il processo in cui definire ciò che va insegnato;
  • Design – il processo in cui definire come avverrà il percorso;
  • Develop – il processo in cui creare e produrre i materiali;
  • Implement - il processo in cui installare i dispostivi formativi nella contesto reale;
  • Evaluate - il processo in cui determinare l’impatto sulla istruzione. (Seels e Glasgow, 1998, p. 7)

Il modello è molto generale ed ha una lunga storia. Durante la seconda guerra mondiale l’esercito americano aveva bisogno di formare rapidamente un alto numero di persone su compiti complessi ed ha elaborato un modello di formazione. Nel 1975 l’esercito americano ha richiesto alla  Florida State University, Center for Educational Technology, di mettere a punto tale modello e di sviluppare una metodologia per la realizzazione di percorsi formativi, l’Interservice Procedures for Instructional Systems Development (IPISD). Tale metodologia, usata fino ai nostri giorni e sviluppata da Robert Branson e Gail Rayner, presentava già nella prima versione le 5 fasi di ADDIE e ingloba la task-analysis. Nella Figura 3 è rappresento ADDIE e la esplosione dei blocchi così come appare nel testo di Branson (1975). Si noti che Branson preferisce definire la quinta fase Control e non Evaluate.

 

Figura 3 - ADDIE con esplosione dei blocchi.

In quello stesso periodo R. Gagné e L. Briggs pubblicano Principles of Instructional Design (1974) e W. Dick e L. Carey The Systematic Design of Instruction (1978). I loro modelli di progettazione hanno molti elementi in comune con ADDIE. La quinta edizione di  Principles of Instructional Design di Gagné, Wager, Golas e Kelelr (2005) fa riferimento a ADDIE. Il testo esplicita le varie fasi dello schema e precisa senso e attività da realizzare nei singoli blocchi. (Tabella 1)

  

Tabella 3 - Componenti di ADDIE. Da Wager et al., 2005, p. 22.

Analisys

Design

Development

Implementation

Evaluation

Determinare i bisogni che richiedono il processo educativo.

Tradurre i goal del corso in risultati e obiettivi

Decidere i tipi delle attività e dei materiali.

Produrre materiali per l’adozione da parte di insegnanti e studenti.

Predisporre piani per la valutazione degli studenti.

Effettuare un’analisi per determinare il target cognitivo, affettivo e relativo alla motricità.

Determinare gli argomenti o le unità che debbono essere affrontate e il tempo da dedicare a ciascuna.

Preparare le bozze dei materiali e delle attività.

Prevedere gli aiuti e i supporti necessari.

Predisporre i piani per la valutazione del sistema.

Determinare quali skill debbono avere gli studenti in entrata e il loro impatto sull’apprendimento.

Mettere in sequenza le unità con attenzione agli obiettivi del corso.

Sperimentare attività e materiali con un gruppo selezionato di utenti.

 

 

Predisporre i piani per la revisione periodica del corso.

Analizzare il tempo disponibile e quanto potrebbe essere realizzato in tale tempo. Alcuni autori raccomandano un’analisi delle risorse e del contesto.

Dettagliare le unità identificando per ciascuna gli obiettivi principali.

Mettere a punto e produrre i materiali e le attività.

 

 

 

 

 

 

Definire le lezioni e per ciascuna le attività

Produrre materiali aggiuntivi per formare gli insegnanti.

 

 

 

 

 

 

Fornire indicazioni per valutare gli apprendimenti degli studenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

Dagli anni settanta in poi si è avuta una proliferazione di modelli per la didattica, anche se molti di essi non sono che riedizioni di vecchie proposte.

Nel 1972 Stamas elencava ventitre modelli significativi, Goodson nel 1980 quaranta modelli, Branch, Edmonds e Mukherjee nel 1994 ne hanno raccolti alcune centinaia.

I modelli permettono di fornire rappresentazioni concettualizzate della realtà e forniscono strumenti cognitivi e comunicativi utili a visualizzare, dirigere e guidare processi in cui vengono create percorsi istruzionali di alta qualità. Non solo suggeriscono il percorso ma a volte propongono gli strumenti per supportare la progettazione (Gustafson e Branch, 2002)

Gustafson propone una tassonomia per raggruppare i modelli: modelli per la classe, modelli per prodotti, modelli per sistemi formativi. Inoltre propone di distinguere i modelli in base alla struttura: modelli a struttura lineare o modelli a struttura concorrente e ricorsiva. Secondo l’autore (ivi, p. 5) una struttura ricorsiva è più adatta nella progettazione di processi complessi.

ADDIE presenta una struttura lineare mentre la Figura 4 descrive una progettazione concorrente e curvilinea. Va evidenziato che anche nella Figura 4 alcuni step sono comunque posizionati in modo lineare.

 

Figura 4 - Progettazione non lineare da Gustafson (2002)

Le categorie 2 e 3 della tassonomia di Gustafson nascono dalla esigenza di costruire prodotti e percorsi complessi con ampio uso delle nuove tecnologie. La produzione di Learning Object, CD rom, percorsi on line richiede la presenza di un team di progetto e un lavoro ampio e a più livelli; inoltre tali realizzazioni dovrebbero essere usabili nel tempo e la loro produzione richiede risorse finanziarie e temporali che necessitano una elaborata progettazione.

In questa sede si analizzano modelli relativi alla prima categoria. Tali modelli relativi alla progettazione di moduli e percorsi didattici, sono messi in atto da docenti che lavorano nella maggioranza dei casi non in team. Gli elementi, che distinguono in modo sensibile i modelli per la classe dalle altre, sono:

  • il tempo a disposizione del docente per progettare la sua azione didattica è ridotto;
  • le risorse disponibili per la progettazione sono scarse;
  • l’evento incide sulla azione didattica;
  • è preferibile prevedere l’uso di materiale già disponibile;
  • il docente non è un esperto di modellizzazone ma ha competenze didattiche e disciplinari.

Da tali elementi consegue che difficilmente è possibile sperimentare la progettazione prima di metterla in atto, l’analisi iniziale tiene conto di dati pregressi e difficilmente è realizzata nello specifico, negli ambienti sono disponibili tecnologie di basso livello e difficilmente i percorsi sono messi a punto, dopo l’esecuzione, per successivi riusi. (Newby et al., 2000)

Modello di Gerlach ed Ely

Il modello di Gerlach ed Ely (1980) è un esempio adatto alla progettazione delle attività didattica nella scuola (Figura 5). Dalla loro esperienza hanno verificato che spesso i docenti iniziano a progettare dai contenuti e per questo hanno messo come fase iniziale sia la specificazione dei contenuti (1) che degli obiettivi (2). Si passa poi a valutare i comportamenti in entrata degli studenti (3) e successivamente si analizzano contemporaneamente risorse (8), spazi (7), tempi (6), organizzazione dei gruppi (5) e le strategie (4). Poiché tali elementi sono esaminati contemporaneamente, ogni scelta condiziona tutte le altre. Infine la valutazione (9) ed il feedback (10).

Modello ASSURE

Il modello di Heinich, Molenda, Russel e Smaldino (1999), definito dall’acronimo ASSURE, è utilizzato in molte scuole americane, anche appartenenti al segmento K12.

Il primo step, Analyze, richiede di esaminare alcune caratteristiche degli studenti, in particolare quelle facilmente e oggettivamente valutabili come il livello culturale e il grado di istruzione, il vocabolario tecnico. Segue la definizione degli obiettivi (State objecties) in termini specifici e misurabili e la selezione di media e materiali (Select media and materials). Dato che i docenti non hanno molto tempo a disposizione, gli autori consigliano di esaminare le risorse esistenti e selezionarle prima di costruire nuovi materiali. Successivamente occorre precisare come utilizzare i materiali scelti (Utilize media and materials). La fase successiva (Require learner partecipation) sottolinea l’importanza di un ruolo attivo degli studenti e riveste per gli autori particolare importanza. Il modello si chiude con la fase di valutazione e feedback (Evaluate and revise). La valutazione ha una doppia valenza ed rivolta sia agli apprendimenti degli studenti, sia al processo globale.

 

Figura 5 - Modello di Gerlach ed Ely da http://sarah.lodick.com/edit/edit6180/gerlach_ely.pdf

Modello MRK

Il modello proposto da Morrison, Ross e Kemp (Figura 6) si differenzia dagli altri in quanto non presenta nessun processo lineare: sono indicate delle fasi ma l’ordine, con cui durante la progettazione tali fasi sono effettuate, è deciso dal docente in base al contesto.

Il modello è infatti raffigurato da un ovale lungo il cui contorno sono posizionati gli elementi per rappresentare la non linearità. Tali attività sono:

  1. individuare i problemi dell’istruzione e specificare i goal per progettare un programma istruzionale;
  2. esaminare le caratteristiche degli allievi utili durante la pianificazione;
  3. identificare le tematiche e analizzare i componenti del task connessi ai goal stabiliti;
  4. stabilire gli obiettivi educativi per lo studente;
  5. costruire la sequenza dei contenuti e la successione delle unità;
  6. progettare le strategie educative in modo che ogni studente possa raggiungere gli obiettivi;
  7. pianificare il messaggio e la erogazione dei materiali;
  8. sviluppare gli strumenti per valutare gli obiettivi;
  9. selezionare le risorse per supportare le attività di apprendimento e insegnamento.

 

 

Figura 6 - Modello di Morrison, Ross e Kemp da http://www.quasar.ualberta.ca/edpy489/modules/edpy489_5_AnOver.html

Modello di Dick, Carey e Carey

Benché questo modello si presti alla progettazione di un curricolo complesso, più che percorsi formativi di breve durata, viene presentato in questo contesto per la significatività e l’importanza ad esso attribuito dalla comunità scientifica, tanto che spesso oggi è divenuto un benchmark. (Figura 7)

 

Figura 7 - Modello di Dick e Carey da http://filebox.vt.edu/users/elrober1/itma/porteval/DickCareyDesignModel.JPG

La progettazione inizia dall’analisi dei bisogni attraverso cui identifica i goal. Tale elemento distingue il modello di Dick, Carey e  Carey dagli altri. L’operazione precede l’inizio vero e proprio del progetto e non viene più messa in discussione, per cui va eseguita con la massima attenzione. Seguono due attività parallele: l’Instructional analysis e l’analisi del contesto e degli studenti. L’Instructional analysis presentata da Dick et al. ha molti punti in comune con quella proposta da Wager (2005), Gagné (1985), Merril (1994).

Essa identifica quali step di apprendimento è necessario inserire per raggiungere i goal. Ciò è realizzato attraverso la task analysis che identifica gli skill e le operazioni mentali che necessitano allo studente per acquisire lo skill stesso. Più precisamente Wager e colleghi (2005) propongono l’Instructional analysis per determinare gli skill cognitivi, affettivi e motori e la struttura in tre fasi:

  • le conoscenze, skill e attitudini che lo studente dovrebbe possedere alla fine del corso. Il suggerimento è che venga indicato che cosa gli studenti sapranno fare e non solo cosa dovranno studiare;
  • gli standard e aspettative provenienti da altre istituzioni connesse al topic e le presenza di prove standardizzate anche proposte da associazioni professionali;
  • l’organizzazione dei compiti secondo una tassonomia in domini e sottodomini di tipi di apprendimento. Tale organizzazione può aiutare a scegliere gli obiettivi e i materiali e a costruire strumenti per la valutazione. (Wager, 20025, p. 25)

Dick e colleghi richiedono ai progettisti, prima di effettuare l’implementazione, di effettuare il processo di Instructional analysis per individuare i principali skill, conoscenze e attitudini che gli studenti dovranno acquisire. Essi debbono anche esaminare e creare step-per-step la descrizione dei task per aiutare gli studenti ad acquisire i goal dellistruzione. (Dick et. al., 2001)

Segue l’individuazione degli obiettivi, la messa a punto di strumenti di valutazione, la individuazione delle strategie, con una cura particolare alla individualizzazione, e la scelta dei materiali. Il passo successivo è relativo alla valutazione di sistema e forniscono indicazioni dettagliate per la sua esecuzione. Anche in questo caso come nel modello di Gagné e Wager si distingue la valutazione formativa dalla sommativa. Ogni fase del processo prevede una revisione per la cui realizzazione gli autori forniscono vari metodi che permettono di raccogliere, analizzare e organizzare i dati acquisiti nelle varie fasi del progetto.

Rapid prototyping design ed eLab

Un approccio da molti autori (Che et. al., 2007) considerato come prossimo all’ID classico di stampo cognitivista e il Rapid prototyping.

Nasce dall’esigenza di rendere la progettazione più rapida e propone l’utilizzo di prototipi fin dalla prime fase. Inoltre propone di coinvolgere l’utilizzatore finale nella sperimentazione dei prototipi. Tale processo viene applicato nella progettazione informatica dove sono messi in commercio prodotti ancora nella fase di test e si richiede agli utenti di inviare suggerimenti e segnalazione dei problemi incontrati.

Tripp and Bichelmeyer (1990) definiscono un modello che presenta “ciò che avviene in un ambiente di rapid prototyping quando è usato come metodo per l’ID. la sovrapposizione dei blocchi (Figura 2) ha l’intenzione di rappresentare il fatto che i vari processi non seguono uno stile lineare. In altre parole l’analisi dei bisogni e i contenuti dipendono anche dalla conoscenza che si ricava dalla costruzione e dall’uso dei prototipi del sistema istruzionale.

 

Figura 8 - Modello del rapid prototyping design

Un altro modello di rapid prototyping è eLab proposto da Botturi, Lepori, Cantoni  e Tardini (2007) e costruito per la progettazione di e-learning.

Tale modello si distacca dall’ID classico, che ha radici behavioriste ed è stato sviluppato in contesto militare, e che critica in quanto le modellizzazioni sono lineari, pongono una fase dopo l’altra secondo lo schema ADDIE, assumono che le informazioni a disposizione del progettista siano date fin dalla fase iniziale e che i progettisti governano il processo senza commettere errori.

Il modello eLab vuole far convergere tre prospettive: lineare, euristica e costruttivista proponendo un metodo per organizzare in brevi step per sviluppare una reificazione fisica della discussione chiamata prototipo. Il Principale scopo è avere uno sviluppo soft del modello adatto ad ogni progetto ma allo stesso sufficientemente strutturato e con tempi e costi accettabili.

 

Figura 9 - Elab model

L’originalità dell’approccio consiste nel considerare la prototipizzazione veloce come processo catalizzatore della comunicazione.

Il principale vantaggio consiste nel favorire la discussione nel team concentrandosi su fatti e risultati ed evitando di focalizzare l’attenzione su teorie e idee sulle tecnologie dell’apprendimento.

eLab mira ad un processo flessibile per valorizzare le idee che emergono nel team e per prendere atto dei bisogni che emergono dai test e dai risultati parziali prodotti dai prototipi. Non tutte le informazioni e i dettagli sono presenti fin dall’inizio e questo modifica in itinere lo scenario del progetto stesso. Il processo di prototipizzazione è strutturato in due cerchie concentrici: il primo interno o product cycle, il secondo esterno o process cycle (Figura 9).

Ma già con questo modello si sono introdotti gli elementi critici all’ID classico che saranno analizzati nel prossimo capitolo.

Infine si presente il modello F-V-P.

Modello F – V – P

 

 

 


 

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